Un tris di cuori è un libro di Paolo Fresi, Sara Rubatto e Patrizia Saccà
Recensione per LibriLiberi di Giovanna Garbuio
Un tris di cuori
Un tris di cuori è un libro che rimette in asse l’equilibrio delle cose davvero importanti della vita.
C’è sempre quel pizzico di gioia di esserci in chi si adegua ad un corpo rotto come il mio.
In chi è cieco e studia un modo per tornare a “vedere“. In chi perde un arto o addirittura due, ma grazie alle protesi, con tanta fatica e sacrificio impara di nuovo a camminare o a mangiare, dopo tanta fisioterapia. C’è anche in Sara, che ha il cuore che fa le bizze ed è sospesa sulla sua corda e in Paolo che ha lottato per tornare ad usare le sue mani.
Quanti Sara, Patrizia, Paolo ci sono?
Noi scriviamo per tutti loro, per trasformare ciò che è accaduto in opportunità
Patrizia Saccà, Paolo Fresi e Sara Rubatto
Patrizia Saccà e Paolo Fresi oggi atleti paralimpici, con Sara Rubatto affetta da una grave cardiopatia, si sono messi a nudo per mostrare a tutti noi, come sempre si può riuscire a rinascere, imparando a reagire a quelle che agli occhi di tutti appaiono come difficoltà insormontabili, disgrazie inaccettabili, trasformandele potentemente e prepotentemente in opportunità evolutive.
Patizia già cavallerizza, è ancora oggi (da forza della natura quale ella è) allenatrice di ping pong e insegnante di Yoga, Paolo nuotatore agonista e Sara laureata in scienze motorie, massofisioterapista, nutrizionista, ci mostrano un punto di vista raro e diverso, ma efficace e potente.
Sara nuotatrice e ciclista ancora corre, dimostrando a se stessa di essere più potente del suo “male”. Infatti sta bene e cuore e testa la seguono, in un atto di volontà che ogni giorno mostra il miracolo da cui è sostenuto. Paolo e Patrizia si sono rimessi completamente in gioco reinventando le loro discipline e le loro esccellenze, dimostrando a se stessi e al mondo che “se non è finita bene significa che non è ancora finita!“
In questo libro i tre amici ci raccontano le loro sfide quotidiane per la riconquista di una nuova “normalità“. E ci mostrano come loro ce l’abbiano fatta anche grazie all’aiuto degli altri e al ruolo evolutivo e spirituale dello sport.
Io sono perchè noi siamo
Ubuntù
Questo libro non vuole ricalcare il già abusato tema della resilienza, ci raconta Paolo Fresi. Questo è un testo che parla di trasformazione. Loro ci parlano infatti di kintsugi: l’arte giapponese delle preziose cicatrici. Ci mostrano come sia possibile trasformare un grande trauma riconoscendone la possibilità di adattamento.
Rompendosi, la ceramica prende nuova vita attraverso le linee di frattura all’oggetto, che diventa ancora più pregiato. Grazie alle sue cicatrici. L’arte di abbracciare il danno, di non vergognarsi delle ferite, è la delicata lezione simbolica suggerita dall’antica arte giapponese del kintsugi.
Loro non sono supereroi, ci dice sempre Paolo, ma questo è ciò che hanno fatto: delle 100 cose che hanno sempre potuto fare, hanno scelto di mantenere fissa la loro attenzione e caparbietà sulle 80 che potevano ancora fare, anzichè sulle 20 che gli erano ormai precluse. In questo modo hanno fatto di un grande dolore una forza alleata invece che un invincibile avversario.
Tre persone, tre vite, tre racconti, tre prospettive uniche e senz’altro rare, tre storie vere di lotta giornaliera. Da questo racconto coinvolgente e autentico risulta la comprensione di come nessun ostacolo sia davvero insuperabile. Sara, Paolo e Patrizia ce lo dimostrano, raccontandoci la loro esperienza con coraggio e senza falsi pudori.
E così Patrizia, Paolo e Sara di fronte alla vita calano “Un tris di cuori” vincente.
In gioventù anch’io sono dovuto passare per la mia “porta stretta”. A 17 anni ero il più giovane giocatore della massima serie di football americano. Poi un incidente fortuito mi limitò nell’uso della caviglia destra. Addio carriera sportiva e, anzi, addio allo sport agonistico. Qualche anno fa venni contattato da un mio ex dirigente che mi informò che si era costituita una squadra di ex giocatori (quindi un po’ datati) che con opportune modifiche regolamentari, tese a limitare la possibilità di infortuni, erano ancora in grado di scendere in campo. Non credevo possibile poter riprendere a fare quello sport, poi vedendo i miei ex compagni di squadra, acciaccati, con i capelli bianchi ma con l’antico ardore ancora ben saldo nei loro cuori, ho ceduto alla tentazione. Prima una semplice visita ad un allenamento, poi un allenamento e infine… sono tornato in campo! Dopo 34 anni di inattività ed ulteriori incidenti alle mie pur sempre delicate gambe, ho ripreso a giocare e oggi a 54 anni suonati mi diverto con i miei coetanei a giocare partite di beneficenza in giro per l’Italia, portando un messaggio di fratellanza, solidarietà e speranza a chi è più sfortunato di noi. È stato sufficiente cambiare lo scopo e lo spirito con cui scendevo in campo un tempo, rispolverare l’impegno di gioventù, per poter riassaporare il piacere di una partita fra amici facendo, per di più, beneficenza. 😁
Che grande esempio e prezioso insegnamento il tuo Roberto. Grazie